La Sindrome Metabolica Sindrome X- Sindrome da InsulinoResistenza
Le conoscenze sulla Sindrome Metabolica (Sindrome X Reaven,1988) confermano l’importanza della prevenzione, soprattutto, per scongiurare la possibilità di passare da questa al Diabete di tipo 2 conclamato, soprattutto, nella lotta contro l’aterosclerosi e la cardiopatia ischemica (infarto).
Il termine Sindrome Metabolica può suonare oscuro, ma in realtà si tratta di una condizione molto diffusa, soprattutto fra gli adulti statunitensi (25%) descrivibile in pochi tratti:
adiposità addominale , soprattutto la pancetta o pancia,
livelli ematici di colesterolo e trigliceridi superiori alla norma,
intolleranza al glucosio
un po’ di ipertensione arteriosa.
In effetti, questa condizione è giudicata l’anticamera del diabete tipo 2, ma non è ancora una tappa senza ritorno.
Soprattutto, la SM è una condizione caratterizzata dalla contemporanea associazione di diversi fattori di rischio metabolici in uno stesso paziente.
I maggiori componenti, ma spesso non gli unici, sono:
dislipidemia: aumento dei trigliceridi, ma soprattutto, diminuzione di HDL-colesterolo, aumento di LDL-colesterolo, presenza di particelle di LDL-colesterolo più dense, più piccole e dotate di maggiore potenziale aterogeno;
ipertensione arteriosa: la relazione continua tra pressione arteriosa e rischio cardiovascolare è nota da tempo.
Le ultime linee guida del Joint National Committee (JNC VI), definiscono ipertensione il valore di sistolica <140 mmHg e <90 mmHg per la diastolica;
intolleranza glucidica: comprende il diabete mellito tipo 2, la ridotta tolleranza glucidica e l’alterata glicemia a digiuno (IFG), tutte e tre, soprattutto, ad alto rischio di sviluppo di malattie cardiovascolari;
stato pro-trombotico: tra i fattori emostatici associati alla sindrome metabolica gli elevati livelli dell’inibitore dell’attivatore del plasminogeno 1 (PAI-1), dell’inibitore dell’attivatore tissutale del plasminogeno del tessuto (tPA) responsabili, soprattutto, dell’aumento del rischio di aterogenesi associato alla sindrome;
obesità addominale: secondo il WHO Report 1997, un adulto è sovrappeso se il BMI è <25; pre-obeso se è 25-29.9; obeso in classe I se è 30.0-34.9, obeso in classe II se è 35.0-39.9 e obeso in classe III se è >40 di BMI.
In relazione all’importanza dell’adipe addominale, si utilizza la sua misurazione con il rapporto Vita/Fianchi (Waist/Hip Ratio).
Esistono dati basati sull’evidenza che mostrano come i cambiamenti di questo parametro, soprattutto, si correlino in modo statisticamente significativo con il rischio cardiovascolare.
Fattori di rischio cardiovascolare
Il dato più saliente che emerge dalla letteratura è che ciascun componente la SM rappresenta un fattore di rischio aterogeno indipendente e, soprattutto, il paziente con questa sindrome presenta un elevato rischio cardiovascolare.
Causa scatenante l’insulinoresistenza
Sebbene il meccanismo patogenetico che sottende la SM non sia pienamente conosciuto, la causa scatenante sembra essere, soprattutto, l’insulino-resistenza, stato metabolico caratterizzato da una diminuzione della normale risposta degli organi bersaglio alle concentrazioni fisiologiche dell’ormone.
Si ritiene oggi che lo sviluppo della sindrome da insulino-resistenza sia dovuta da un lato all’interazione di fattori genetici, per definizione non modificabili, dall’altro ad elementi ambientali, e quindi modificabili, quali l’inattività fisica, una dieta ad alto contenuto di carboidrati, che, soprattutto, promuovono, mantengono e/o peggiorano la sua espressione clinica.
Disordini clinici associati alla sindrome da insulino-resistenza
Diabete Mellito tipo 2
La condizione patologica più probabile in un paziente con insulino-resistenza è l’intolleranza glucidica fino al diabete mellito vero e proprio, soprattutto, con iniziale normoglicemia mantenuta da una condizione di iperinsulinemia compensatoria.
Dislipidemia.
Si caratterizza in particolare con aumento dei trigliceridi, da aumentata produzione e ridotta eliminazione di chilomicroni e VLDL. Soprattutto, ad aggravare il quadro lipidico sono bassi livelli di HDL colesterolo.
Cardiopatia ischemica.
Ancora oggi, il meccanismo attraverso il quale l’insulino-resistenza influenza l’ateroslcerosi non è noto.
La concomitante presenza nello stesso individuo di tutti i sopra citati fattori di rischio cardiovascolari promuovono l’aterosclerosi e, soprattutto, incrementano il rischio di cardiopatia ischemica (infarto).
Obesità.
Molte persone con una o più delle condizioni sopra citate sono obese, condizione che promuove l’insulino-resistenza, soprattutto, favorendo la cascata degli eventi pro-aterogeni citati.
Identificazione dei pazienti
Sebbene il riconoscimento delle malattie o condizioni che costituiscono la SM possa essere relativamente semplice in medicina generale, essa può restare misconosciuta per anni inducendo un aumento del rischio, soprattutto, di cardiopatia ischemica (infarto).
L’importanza della precoce identificazione di queste persone sta, soprattutto, nel fatto che molte, delle componenti la sindrome metabolica possono essere prevenute, soprattutto, con una modifica dello stile di vita e/o l’utilizzo di appropriati farmaci.
Test per misurare l’insulinoresistenza
La modalità più accurata per misurare l’insulino-resistenza è la tecnica del clamp euglicemico iperinsulinemico.
Questo test dinamico è, a tutt’oggi, utile per la ricerca, ma ancora lontano dall’applicazione quotidiana.
Ne deriva che, in mancanza di test semplici e di poco costo, la diagnosi di insulino-resistenza può essere fatta, indirettamente, sulla base di un sospetto clinico o dal rapporto:
Trigliceridi / HDL < 2.
Importante sospettarla anche tra pazienti che non abbiano ancora sviluppato né diabete mellito, né ipertensione arteriosa, né dislipidemia o coronaro-patia.
Altro dato fondamentale per sospettare Insulinoresistenza
Il dato sul quale riflettere è, a mio giudizio, la sempre maggiore rilevanza clinica che, soprattutto, acquista un parametro di facile e rapida determinazione: il Rapporto Vita/Fianchi.
Questo dà una stima immediata del grado di obesità addominale, ma che è ancora poco usato nella pratica clinica quotidiana, nonostante la forte correlazione esistente tra obesità addominale e insulino-resistenza indipendentemente dal valore di BMI.
Ȓ bene ricordare che la circonferenza della vita va misurata a livello del punto più stretto dell’addome, mentre i fianchi a livello di quello più largo del bacino.
Un rapporto vita/fianchi >1 nell’uomo o >0.8 nella donna è fortemente correlato all’obesità addominale e all’insulino-resistenza.
Anche il riscontro di ipertrigliceridemia deve far sospettare una SM: una trigliceridemia >150 mg/dl, si accompagna frequentemente ad altri componenti della SM.
Trattamento
L’elevato rischio cardiovascolare, soprattutto, associato alla sindrome da insulino-resistenza, sottolinea la necessità di interventi precoci.
Il trattamento dell’insulino-resistenza o meglio il miglioramento della sensibilità insulinica si avvale, soprattutto, di provvedimenti di ordine comportamentale, quali dieta ed esercizio fisico.
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E’ una Slow Protein, ossia una proteina a lento rilascio di aminoacidi ed oligo-peptidi.
Dieta e riduzione del peso.
La perdita di peso in pazienti obesi riduce i livelli di insulina basale a digiuno, soprattutto, migliora la sensibilità all’insulina, la tolleranza al glucosio, l’ipertensione, la dislipidemia e, inoltre, influenza favorevolmente i fattori dell’emostasi.
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Conclusione
Semplici interventi, quali l’agevole e veloce determinazione del Rapporto Vita/Fianchi, il rilevamento della pressione arteriosa e l’esecuzione di comuni test ematochimici sono sufficienti, soprattutto, per porre diagnosi di SM e di intraprendere il trattamento ideale per il singolo paziente.
Valori limite
Glicemia >110 mg
Trigliceridi >150 mg/dl
HDL< 40 maschio 50 femmina
Adiposità viscerale circonferenza addominale > 88 cm femmine 102 cm maschi
Ipertensione > 140/90 mmHg