Come affrontare i pazienti con grave atrofia ossea mandibolare e/o mascellare
I pazienti con atrofia ossea mandibolare e/o mascellare rappresentano una sfida clinica rilevante per il chirurgo odontoiatra.
Il ripristino della funzione masticatoria, mediante impianti osteointegrati in questo tipo di pazienti, richiede spesso la correzione del bilancio calcico negativo ed eventuali alterazioni del metabolismo osseo.
È necessario, inoltre, che la massa scheletrica residua (osso nativo) sia sufficiente per l’inserimento degli impianti o almeno possa sopportare una GBR.
Halo-implant a confronto
Fattori di successo
I molteplici fattori dai quali dipende il successo di una terapia sono la variabile principale da considerare nell’analisi dei risultati di qualsiasi ricerca sull’efficacia clinica di qualunque tecnica rigenerativa e/o osteo-integrata.
Inoltre, negli ultimi venti anni le continue revisioni critiche della letteratura, riguardo l’implantologia osteointegrata, hanno ribaltato totalmente i protocolli terapeutici dei primi anni novanta.
Questo soprattutto nel trattamento dei pazienti con atrofia ossea mandibolare e/o mascellare.
Questi protocolli, in passato, prevedevano l’attesa di almeno 3-6 mesi prima del caricamento degli impianti, pena il fallimento dell’osteo-integrazione (interfaccia osso-impianto stabile).
Oggi, invece, si è sempre più favorevoli alla stimolazione meccanica dell’osso (carico immediato o precoce), quale determinante favorevole al metabolismo osseo, anche a livello locale.
Questo genera confusione nell’odontoiatra, ostacolando la realizzazione di un valido programma di ricerca, soprattutto dando vita a tante metodiche tutte sostenibili, con risultati immediati efficaci, ma a distanza meno predicibili.
Il problema risiede però, proprio nella loro predicibilità.
Per questo, è lecito pensare che la determinante fondamentale non sia soltanto la metodica implantare, che sappiamo assumere un significato fondamentale in termini di predicibilità, soprattutto, per quanto concerne sistematica implantare (tensegrità-piezoelettricità), ma vada considerato anche il fenotipo metabolico osseo.
Infatti, i pazienti con un metabolismo osseo molto attivo dal punto di vista del turnover e della capacità rigenerativo-proliferativa, probabilmente reagiscono bene a diversi tipi di trattamento.
Per questo motivo, secondo noi, sarebbe opportuno sottoporre i pazienti ad un attento protocollo di studio dei marker ossei metabolici.
Soprattutto quando trattiamo pazienti con atrofia mandibolare e/o mascellare
Questo garantisce in pazienti selezionati con sistematica adeguata, una predicibilità dei risultati a distanza, anche nei casi di grave atrofia ossea verticale e/o trasversale.
Le cellule ossee e l’ambiente che le circonda
La composizione ossea influenza il rischio di frattura e la perdita ossea. Questi dipendono dall’ambiente in cui si trovano le cellule ossee.
Nell’osso trabecolare, le cellule ossee sono in stretto contatto con le cellule del midollo, che producono diverse citochine osteotrope.
Il rimodellamento osseo ha luogo sulla superficie ossea, principalmente a livello dell’endostio dove l’osso interagisce con il midollo osseo.
Nell’osso corticale, invece, le cellule sono meno influenzate da queste citochine, mentre subiscono l’influenza degli ormoni osteotropi sistemici, come il PTH e il calcitriolo [1,25(OH)2D3].
Periostio
All’esterno dell’osso corticale è presente il periostio, una membrana connettivale ricca di vasi e di terminazioni nervose che riveste le ossa e che consente l’accrescimento esterno delle ossa.
Il coupling accoppiamento fra distruzione e sintesi ossea
L’accoppiamento (coupling) tra distruzione e sintesi ossea è regolato, in modo preciso, da meccanismi non ancora ben conosciuti.
Comprenderli ci aiuterà a controllare la perdita di massa ossea, che si verifica quando la sintesi ossea non ripristina completamente l’osso demolito dagli osteoclasti.
Gli osteoblasti e gli osteoclasti concorrono al processo di rimodellamento osseo, ma hanno origini completamente diverse:
gli osteoclasti originano dalle cellule staminali ematopoietiche (CFU-GM, Colony Forming Unit-Granulocyte Macrophage) o da cellule del midollo osseo che hanno la capacità di circolare;
gli osteoblasti derivano da cellule staminali mesenchimali-stromali (CFU-F, Colony-Forming Unit Fibroblast).
Molti ipotizzano che il coupling sia mediato localmente da fattori umorali che agiscono sugli osteoblasti, o che un fattore stimolante gli osteoblasti (IGF-1, Insulin Growth Factor-1; IGF-2;TGF-?,Transforming Growth Factor-?) venga rilasciato dalla matrice ossea durante il riassorbimento osteoclastico, determinando attivazione degli osteoblasti e neoformazione ossea.
Tuttavia questo meccanismo non è provato con certezza.
Rimodellamento nelle malattie ossee
Prima di affrontare una GBR, come una riabilitazione su impianti, nei pazienti con atrofia mandibolare e/o mascellare, è opportuno un inquadramento diagnostico per escludere eventuali osteopatie metaboliche.
Lo screening di queste comprende un’attenta anamnesi e semeiotica clinica, nonché esami bio-umorali indicativi di patologia scheletrica.
Non vanno sottovalutati i fattori di rischio che possono essere associati a bilancio calcico negativo e quindi a uno stato di osteopenia o osteoporosi.
Malattie metaboliche ossee
Le principali malattie metaboliche ossee nei pazienti di età medio-avanzata, sono: osteoporosi, osteomalacia, Iperparatiroidismo primitivo, da adenoma paratiroideo, tireotossicosi, malattia di Paget (osteite deformante).
Mentre, i principali fattori di rischio per osteopenia sono: età, razza, sesso, genetica struttura corporea, dieta, esercizio fisico, tabacco, alcol, farmaci.
Le osteopatie metaboliche sono caratterizzate da specifiche alterazioni del processo di rimodellamento.
Valutazioni pre-implantoprotesiche e rigenerative
Allo stesso modo, prima di affrontare una riabilitazione implanto-protesica e/o una GBR (Guided Bone Regeneration) è necessario conoscere l’osso ed il suo metabolismo, per la sopravvivenza delle implanto-protesi
Oggi, la maggior parte delle riabilitazioni protesiche vengono realizzate su impianti.
Per questo, in caso di gravi atrofie ossee verticali e/o orizzontali, si ricorre ad innesti di osso autologo (bone graft) o di particolato arricchito con biomateriali.
Però, il risultato di queste GBR (Guided Bone Regeneration) è influenzato, in modo significativo, dalle caratteristiche metaboliche dell’osso.
Va sottolineato che anche nel caso in cui non si utilizzino tecniche rigenerative la stabilità e durata dell’interfaccia osso-impianto dipendono da diversi fattori locali e sistemici, che influenzano il metabolismo osseo e le caratteristiche dell’osso, in cui viene inserito l’impianto.
Metabolismo osseo
Pertanto, è fondamentale per l’odontoiatra conoscere il metabolismo osseo e valutare pre-operatoriamente le possibilità di successo dell’intervento riabilitativo.
Fattori sistemici regolatori della calcemia
Metabolismo dell’osso e del calcio.
I valori ematici di calcio e di fosforo sono regolati dalla interazione tra paratormone (PTH), vitamina D e calcitonina.
Questa interazione avviene fra tre organi: osso, rene e intestino.
L’odontoiatra necessita di una ampia conoscenza per comprendere come l’osso mandibolare e mascellare, su cui lavora quotidianamente sia fortemente influenzato dalle condizioni generali di salute del paziente, e del suo scheletro.
Soprattutto, quando affronta la riabilitazione implanto-protesica nei pazienti con atrofia mandibolare e/o mascellare
Lo scheletro è costituito da osso corticale (compatto) e da osso trabecolare.
I processi di rimodellamento sono diversi nei due tipi di osso, che dovrebbero essere considerati come due diverse entità funzionali.
L’osso corticale nella porzione più esterna, con funzione prevalentemente strutturale di sostegno e l’osso trabecolare, nella parte interna, con funzioni prevalentemente metaboliche.
Il mantenimento della componente strutturale è molto influenzato da fattori biomeccanici, come il carico funzionale.
Tra le trabecole ossee sono presenti spazi midollari in cui l’osso interagisce con le cellule del midollo osseo e con i vasi che portano segnali di regolazione metabolica e ormonale sistemica.
Il periostio
All’esterno dell’osso corticale è presente il periostio, una membrana connettivale ricca di vasi e di terminazioni nervose che riveste le ossa e che consente l’accrescimento esterno delle ossa.
La parte corticale con funzione strutturale avvolge l’elemento dentario e circonda l’osso trabecolare nella parte più interna dell’osso.
L’osso corticale è rivestito all’esterno dal periostio, costituito da una membrana di connettivo fibroso e da uno strato di connettivo lasso con numerosi osteoblasti che formano a loro volta uno strato continuo a contatto dell’osso durante l’accrescimento, che diventa discontinuo nell’adulto.
Il periostio è responsabile dell’accrescimento in spessore dell’osso e manca nelle parti rivestite da cartilagine articolare e in corrispondenza dell’inserzione dei tendini e dei legamenti alle ossa, dove fasci di connettivo penetrano direttamente nell’osso stesso; anche la cavità midollare delle diafisi è rivestita da una delicata lamina connettivale, l’endostio, provvisto di proprietà osteogene.
osso corticale
L’osso corticale rappresenta circa il 40% dell’osso vertebrale, il 50% della regione intertrocanterica del femore, il 75% del collo del femore e il 95% dell’osso nella porzione mediale del radio.
Nel massiccio facciale, e in particolare nell’osso mascellare, l’osso trabecolare è prevalente, mentre la mandibola ha una discreta quantità di osso corticale.
Effetti del carico meccanico
Il carico meccanico ottimizza la massa di tessuto mineralizzato, la sua qualità e l’orientamento delle linee di carico dell’osso.
I denti sono inseriti in una solida struttura di supporto, l’osso alveolare, sia nella mandibola che nell’osso mascellare.
Poiché la mascella subisce un carico prevalentemente da compressione, la sua struttura ossea è simile a quella di una vertebra, ovvero prevalentemente trabecolare con uno strato di osso corticale relativamente sottile.
L’osso corticale della mandibola è molto più spesso, poiché agisce come una leva ed è sottoposta a notevole torsione e forza muscolare.
Atrofia come evitarla
Per evitare che si sviluppi atrofia, l’osso alveolare richiede probabilmente una sollecitazione più rilevante rispetto all’osso alla base delle arcate dentarie.
Una volta perso un elemento dentario, il processo alveolare tende a riassorbirsi piuttosto velocemente, per l’assenza di carico meccanico.
Questo è fondamentale evitarlo in quanto spesso ci troviamo a riabilitare pazienti con atrofia mandibolare e/o mascellare
Il riscontro di una grave e progressiva atrofia dell’osso delle arcate dentarie si associa di solito alla mancanza di diversi elementi dentari associata alla presenza di un bilancio calcico negativo.
Il calcio presente nel corpo umano
L’organismo umano contiene 1,0-1,3 kg di calcio, che per il 99% è depositato nell’osso, legato al fosforo in cristalli di idrossiapatite.
Il calcio ematico ha una concentrazione variabile tra 8,4 e 10,4 mg/dL, in forma libera-ionizzata per il 50%.
Il restante 50% è quasi tutto legato alle proteine e solo una piccola quota forma complessi con citrato e fosfato.
Funzioni biologiche del calcio
Il calcio, oltre elemento essenziale dell’osso, ha altre importanti funzioni biologiche:
Interviene nell’eccitabilità cellulare e nell’integrità di membrana;
Controlla la contrazione muscolare scheletrica e cardiaca;
Partecipa alla coagulazione;
Fa rilasciare ormoni e neurotrasmettitori agendo come secondo messaggero.
Paratormone (PTH)
Il paratormone, prodotto dalle cellule principali delle paratiroidi, è regolato principalmente dalla calcemia.
Il PTH agisce direttamente su due organi bersaglio: il tessuto osseo e il rene.
Il PTH nel tessuto osseo mobilizza il calcio ed il fosforo dallo scheletro con vari meccanismi:
stimolando gli osteoclasti e aumentandone il numero;
stimolando gli osteociti a secernere enzimi proteolitici, che provocano il riassorbimento della matrice proteica;
inibendo probabilmente gli osteoblasti.
Effetti contrapposti del PTH
Recentemente, si è scoperto che una somministrazione a breve termine o intermittente di PTH aumenta la formazione ossea tramite un’azione anabolica sugli osteoblasti e i loro precursori.
A livello renale, il PTH agisce:
diminuendo il riassorbimento del fosforo da parte del tubulo prossimale, abbassando la fosforemia;
aumentando il riassorbimento di calcio a livello del tubulo distale;
stimolando l’enzima 1-alfa-idrossilasi che trasforma la 25 (OH) vitamina D3 in 1,25 (OH)2 D3, il metabolita più attivo della vitamina D (calcitriolo).
Questo, agendo a livello intestinale, aumenta l’assorbimento di calcio e fosforo.
Vitamina D
Con questo termine comprendiamo vari composti steroidei, simili ad un complesso ormonale.
Due sono le forme chimiche della vitamina D: la D2 e la D3.
La vitamina D2, o ergocalciferolo, di origine vegetale che si ottiene per irradiazione dell’ergosterolo e va incontro alle stesse modificazioni metaboliche della vitamina D3.
La vitamina D3, o colecalciferolo, deriva dal 7-deidrocolesterolo (7DHC), di origine animale.
Come per tutti gli ormoni, siamo in grado di sintetizzare la vitamina D3 e attivarla mediante trasformazioni metaboliche.
Il primo passaggio è la formazione di vitamina D3 nella cute per effetto dei raggi ultravioletti UVB. Perciò esporsi al sole è importante per la salute ossea.
V.N.R. della vitamina D
Il V.N.R. di vitamina D è di 400-800 unità nell’infanzia e di almeno 100 unità nella vita adulta.
L’apporto alimentare è scarso, ed il suo assorbimento avviene a livello digiuno-ileale, dove la vitamina D è incorporata da micelle di grasso e sali biliari.
Per essere attiva la vitamina D3 (colecalciferolo) deve essere modificata da due reazioni enzimatiche di idrossilazione: prima nel fegato, con formazione del 25-idrossi-colecalciferolo [25(OH)D3], a opera dell’enzima mitocondriale epatico 25-alfa-idrossilasi, poi nel rene con formazione di 1,25-diidrossicolecalciferolo [1,25(OH)2D3 o calcitriolo], a opera dell’enzima mitocondriale renale 1-alfa-idrossilasi.
L’attività di questo enzima viene stimolata dall’ipocalcemia, dall’ipofosfatemia e dal PTH.
Come valutare la carenza di Vitamina D
Ricordiamo, che una carenza di vitamina D si valuta misurando il 25(OH)D3, in quanto i livelli di 1,25(OH)2D3 sono mantenuti nei limiti di norma anche con una carenza già clinicamente significativa.
L’azione principale del calcitriolo è contribuire a mantenere la calcemia nei limiti di norma.
Il calcitriolo agisce a tre livelli:
Determina l’aumento della matrice calcificata e induce la trasformazione di cellule staminali in osteoclasti maturi, che poi mobilizzano calcio dall’osso (questa duplice azione apparentemente contraddittoria, consente al calcitriolo, in base alla calcemia, di esercitare una potente azione di riassorbimento o di sintesi ossea);
Aumenta, a livello intestinale, l’assorbimento di calcio e fosforo;
Diminuisce, a livello renale, l’escrezione di calcio e fosfati.
Calcitonina
La calcitonina è un polipeptide di 32 aminoacidi prodotto dalle cellule parafollicolari, o cellule C, della tiroide.
Nell’uomo, il suo ruolo non è ancora completamente chiaro.
La sua secrezione è stimolata dall’aumento della calcemia e inibita da un calo della calcemia.
Tuttavia va sottolineato che la calcemia è regolata prevalentemente dalle variazioni della secrezione di PTH.
Anche il ruolo della calcitonina nella terapia dell’osteoporosi è stato ridimensionato, dopo un suo uso alquanto esteso, soprattutto in Italia.
I marcatori del metabolismo osseo
Oltre alla determinazione dei livelli di PTH e di 25(OH)vitamina D3 (il metabolita indica chiaramente una carenza di vitamina D), nel valutare il metabolismo osseo sono importanti altri esami ematici e urinari.
Il dosaggio di questi marcatori è utile non solo per l’inquadramento diagnostico, ma anche per monitorare una terapia.
I principali esami strumentali e bioumorali richiesti per valutare il metabolismo osseo nei pazienti che devono essere sottoposti a chirurgia orale preimplantare sono:
calcemia, fosforemia, fosfatasi alcalina, calciuria, fosfaturia, elettroforesi proteica, funzionalità epatica, renale e tiroidea, e sono spesso utili per escludere le principali cause di osteoporosi secondaria.
La proteina C reattiva indica la presenza di uno stato infiammatorio spesso responsabile di alterazione dei parametri di routine.
Se si sospetta un ipogonadismo testiamo FSH, LH, prolattina, estrone.
Va considerata, in caso di sintomatologia subdola, alla possibilità di malattia celiaca, che può indurre malassorbimeto intestinale e quindi deficit di calcio.
Indici di sintesi ossea
Osteocalcina
L’osteocalcina (GLA) è una proteina ossea considerata un buon marcatore specifico del metabolismo osseo.
Lega gli ioni calcio ed ha affinità per l’idrossiapatite, per cui interverrebbe nella fase di mineralizzazione ossea, anche se il suo ruolo specifico non è ancora chiaro.
Prodotta dagli osteoblasti, sotto il controllo del calcitriolo, passa in circolo e viene escreta per filtrazione renale.
Valori elevati di osteocalcina si riscontrano, di solito nelle condizioni in cui vi sia un rimodellamento osseo attivo, spesso associato ad un aumento dei livelli di calcitriolo.
Al contrario, si osservano valori bassi di osteocalcina, ogni volta vi sia un difetto di mineralizzazione, una diminuita attività ossea e bassi livelli di calcitriolo.
Fosfatasi alcalina
Anche la fosfatasi alcalina è un indice di sintesi ossea. Poiché ne esistono due forme, un isoenzima di derivazione epatica e uno di derivazione ossea, è utile ottenere la determinazione dell’isoenzima osseo.
In assenza dell’isoenzima, poiché la fosfatasi alcalina totale può essere elevata anche per patologie epatiche, queste possono essere escluse con la determinazione di altri indici di colestasi, come le gamma-glutamil-transpeptidasi (?-GT).
Indici di riassorbimento osseo
Gli esami bioumorali che indicano l’entità del riassorbimento osseo sono diversi.
Tutti misurano molecole che provengono dal catabolismo della matrice ossea, durante il processo di riassorbimento osseo.
Vi sono diversi test dei livelli urinari di strutture di legame (cross-links) delle fibre collagene ossee.
I cross-links vengono rilasciati dall’osso in seguito alla degradazione della matrice, sia in forma libera che legati alle porzioni N-terminale e C-terminale del collagene.
I principali test disponibili dosano:
idrossiprolina (Hyp);
telopeptide N-terminale del collagene di tipo I (NTx);
telopeptide C-terminale del collagene di tipo I (CTx o ICTP);
piridinoline totali (Pyr) e libere (f-Pyr);
desossipiridinoline totali (d-Pyr) e libere (f,d-Pyr).
Questi marcatori sono dosati nelle urine; recentemente è stato introdotto anche un test ematico per il telopeptide C-terminale del collagene I (?-Cross-laps).
Fattori del metabolismo osseo e del calcio
Abbiamo valutato i fattori che intervengono nel metabolismo osseo e del calcio, considerando anche gli indici di sintesi e riassorbimento osseo.
Per cui, dopo aver considerato i fattori agenti sul rimodellamento nelle malattie ossee, per escluderle, ora, soffermiamo la nostra attenzione sul rimodellamento osseo normale
Osso tessuto connettivo mineralizzato
L’osso è un tessuto connettivo specializzato che costituisce, assieme alla cartilagine, il sistema scheletrico.
Questi tessuti esplicano almeno tre importanti funzioni:
meccanica, per il supporto e il movimento corporeo, assieme al sistema muscolare scheletrico;
protettiva, per gli organi vitali e il midollo osseo;
metabolica, come riserva di ioni (calcio e fosfati) per il mantenimento dell’omeostasi minerale, essenziale per la vita.
Come tutti i tessuti connettivi, anche l’osso è costituito da diversi tipi di cellule che interagiscono all’interno di una matrice extracellulare.
Le cellule coinvolte nel processo di rimodellamento osseo sono:
osteoclasti, che hanno la funzione di riassorbire osso;
osteoblasti, che preparano la matrice ossea (osteoide) necessaria per il processo di calcificazione;
osteociti, derivati da osteoblasti che rimangono all’interno dell’osso calcificato.
Le cellule del midollo osseo sono inoltre fondamentali come precursori delle cellule ossee e nel fornire fattori che stimolano o inibiscono la calcificazione.
Matrice cellulare
La matrice cellulare è costituita principalmente da fibre collagene (tipo I, 90% delle proteine totali).
Rispetto ad altri tessuti connettivi, però, la matrice extracellulare ossea ha la particolare caratteristica di mineralizzare, attraverso la deposizione di cristalli di idrossiapatite di calcio.
Il processo di calcificazione potrebbe essere di tipo attivo, oppure sembra sia dovuto all’assenza di sostanze che in altri tessuti sono in grado di prevenire la calcificazione.
Anche dopo la calcificazione, la matrice ossea resta metabolicamente attiva e ospita strutture cellulari, gli osteociti (25000/mm3 di osso calcificato), derivati dagli osteoblasti che hanno costituito la matrice.
La principale funzione degli osteociti è verosimilmente quella di agire come sensori meccaniciò e di attivare localmente il rimodellamento osseo.
A tal fine, gli osteociti comunicano tramite una fitta rete di microfilamenti collagenici con altri osteociti e con le cellule presenti alla superficie dell’osso (osteoblasti e cellule piatte endostiali e periostiali).
La superficie costituita da questa struttura reticolare, che mette anche in contatto l’osso con il fluido extracellulare, nell’adulto è di oltre 1000 mq, enorme se si paragona alla ampia superficie dei capillari polmonari, 140 mq.
Rimodellamento osseo
Il rimodellamento osseo ha luogo sulla superficie ossea, principalmente a livello dell’endostio dove l’osso interagisce con il midollo osseo.
Questa superficie è morfologicamente eterogenea e riflette le attività cellulari necessarie al rimodellamento osseo: la sintesi ossea è opera degli osteoblasti, mentre il riassorbimento osseo degli osteoclasti.
Lo scheletro è un tessuto metabolicamente molto attivo, altamente vascolarizzato e in uno stato dinamico di continuo alternarsi di riassorbimento e sintesi ossea.
Ciò si verifica non solo in fase di crescita, ma anche nell’adulto: ogni anno, circa il 20-30% dell’osso trabecolare e il 2-10% dell’osso corticale vengono riassorbiti e reintegrati con nuovo osso.
Rimodellamento e funzione masticatoria
È importante sottolineare come in alcuni segmenti scheletrici, e in particolare in corrispondenza dell’articolazione temporo-mandibolare, nei processi alveolari, e all’interfaccia con impianti osteointegrati, il rimaneggiamento osseo supera il 30% all’anno.
Ciò è probabilmente legato al carico meccanico imposto dalla funzione masticatoria; di conseguenza, alterazioni della masticazione e variazioni del carico meccanico possono avere un profondo impatto sul rimaneggiamento osseo.
Il rimodellamento osseo avviene in aree specifiche in tutto lo scheletro e un ciclo completo di rimodellamento richiede un periodo di tempo, in media intorno a 3-4 mesi.
Frost teoria meccanostatica
La prima descrizione moderna di questo processo è stata fornita da Frost circa 40 anni fa, che ha definito l’importanza delle unità di rimodellamento osseo, indipendenti tra di loro cronologicamente e topograficamente.
Questo suggerisce che la sequenza di eventi cellulari responsabili del rimodellamento è verosimilmente controllata da meccanismi locali del micro-ambiente osseo.
La sequenza è la seguente:
- attivazione dei precursori degli osteoclasti (Colony Forming Unit- Granulocyte Macrophage, CFU-GM);
- riassorbimento osseo da parte degli osteoclasti;
- fase di sostituzione della popolazione cellulare da osteoclasti a osteoblasti, i cui precursori sono i CFUF (Colony-Forming Unit-Fibroblast );
- sintesi ossea (deposizione della matrice osteoide da parte degli osteoblasti e successiva calcificazione);
- completamento dell’unità strutturale ossea e ritorno a una fase di quiescenza, ove la superficie ossea è nuovamente ricoperta da cellule appiattite, di derivazione osteoblastica.
Questo processo determina una completa riparazione del difetto osseo, creato dagli osteoclasti, al fine di mantenere l’integrità dello scheletro.
Però, se si determina un’alterazione fra distruzione e sintesi ossea, si può osservare un progressivo impoverimento dello scheletro, tipico dell’osteoporosi primitiva e di altre malattie metaboliche dell’osso, con osteoporosi secondaria.
Possibili terapie di sostegno alle nostre implanto-protesi e GBR, in caso di gravi atrofie ossee
La terapia con fluoro non viene più utilizzata a fini terapeutici in quanto a fronte di un aumento della massa ossea non è stata osservata una riduzione del rischio di fratture vertebrali, ma anzi è stato osservato un aumento del rischio di fratture non vertebrali nel caso si utilizzino dosi elevate.
Questo indica che non è solo la quantità di osso mineralizzato che conta, ma anche la qualità della microarchitettura ossea.
Per cui è importante innanzitutto conoscere l’attività osteoclastica
Ormoni regolatori attività osteoclastica
Gli ormoni sistemici che regolano l’attività osteoclastica sono il PTH, il calcitriolo [1,25(OH)2D3] e la calcitonina.
Il PTH stimola sia la formazione ossea che il suo riassorbimento in vitro e in vivo, a seconda che sia somministrato in modo intermittente o continuo.
Il motivo di questo diverso comportamento è ancora da chiarire, ma è ormai evidente che in alcune situazioni il PTH nelle giuste quantità e con somministrazione intermittente può favorire la formazione ossea, tanto che ne è stata recentemente introdotta una formulazione farmacologica per il trattamento dell’osteoporosi, il teriparatide.
Calcitriolo
Il calcitriolo è un potente stimolatore del riassorbimento osseo.
Come nel caso del PTH, stimola la differenziazione e la fusione dei progenitori degli osteoclasti con un meccanismo indiretto che coinvolge gli osteoblasti e il sistema RANKL/RANK/OPG. Tuttavia, le azioni del calcitriolo sono molto più complesse in quanto questa molecola influenza il bilancio di calcio e fosforo e agisce inoltre come immunomodulatore.
Calcitonina
La calcitonina è un ormone polipeptidico con una potente ma transitoria attività inibitrice del riassorbimento osseo.
La sua azione sugli osteoclasti si esaurisce dopo alcuni giorni di trattamento, come evidenziato dalla recidiva di ipercalcemia dopo 48-72 ore nei pazienti ipercalcemici trattati con calcitonina.
Inoltre, un ruolo fondamentale ha il sistema RANKL/RANK/OPG.
Se si elimina il gene OPG si osserva fin dalla nascita una gravissima osteoporosi, causata da un aumento della formazione e della funzione di osteoclasti, come pure da un aumento della loro sopravvivenza; inoltre i topi OPG-carenti sviluppano calcificazioni arteriose, il che fa supporre un ruolo protettivo di OPG nelle calcificazioni vascolari.
RANK-L induce la formazione di osteoclasti e OPG inibisce questo processo.
La presenza di RANK-L è un requisito assoluto per lo sviluppo degli osteoclasti.
Numerose altre citochine sono attive sull’osso, come purÈprostaglandine e leucotrieni.
È importante ricordare che altri importanti ormoni possono influenzare il metabolismo osseo.
Tra questi, gli ormoni tiroidei stimolano il riassorbimento osseo, aumentando l’attività osteoclastica e in alcuni casi determinando ipercalcemia.
Gli ormoni glucocorticoidi inibiscono la formazione di osteoclasti, ma la loro somministrazione prolungata determina aumento del riassorbimento osseo.
Carenza di estrogeni
La carenza di estrogeni si associa a un aumento del riassorbimento osseo per circa 10 anni dopo la menopausa, con meccanismi non ancora completamente chiariti
L’attività osteoclastica può essere stimolata o inibita agendo indirettamente sulla proliferazione dei precursori degli osteoclasti, sulla differenziazione-fusione dei precursori in cellule multinucleate e sulla loro inattivazione tramite apoptosi.
Sistema RANK-L/RANK/osteoprotegerina
Un importante mediatore dell’attivazione degli osteoclasti è il sistema RANK-L/RANK/osteoprotegerina.
RANK-L (RANK ligand) è una proteina espressa sulla superficie degli osteoblasti che è in grado di attivare gli osteoclasti interagendo con il suo recettore RANK.
L’osteoprotegerina (OPG) è una molecola che ha caratteristiche simili a RANK, (il recettore di RANK-L presente sugli osteoclasti), come se fosse un finto recettore circolante, e che può quindi influenzare l’interazione tra osteoblasti e osteoclasti spegnendo il messaggio di attivazione.
Modulazione farmacologica del metabolismo osseo e terapia dell’osteoporosi
Dal momento che ancora non si è in grado di influenzare gli importanti meccanismi locali che determinano il rimodellamento osseo, come il sistema RANK-L/RANK/OPG, nella pratica clinica si devono valutare con attenzione le alterazioni degli indicatori disponibili del metabolismo osseo.
In particolare si possono correggere le alterazioni del sistema ormonale paratormone/vitamina D e ridurre con la terapia farmacologica la tendenza al bilancio calcico negativo presente nei pazienti con osteoporosi.
Alimentazione ed abitudini comportamentali
È importante affiancare alla terapia medica alcune semplici abitudini alimentari e comportamentali, quali l’assunzione di alimenti ricchi di calcio (compatibilmente con il livello di colesterolemia) e di vitamina D. Inoltre, fondamentale assumere integratori alimentari a base di Collagene idrolizzato, arricchito con Vitamina C al 200% del V.N.R.
Sono importanti, anche, una regolare esposizione alla luce solarÈe un’adeguata e costantÈattività fisica.
Sono invece da evitare il fumo, l’eccessiva assunzione di alcol e di caffé.
La terapia farmacologica va generalmente protratta per lungo tempo, sotto controllo medico periodico, per ottimizzare i benefici ed evitare effetti collaterali, dal momento che a seconda dell’andamento degli esami possono rendersi necessarie variazioni delle dosi o del tipo di farmaco utilizzato.
I presidi farmacologici utilizzati più di frequente sono il calcio e la vitamina D.
La supplementazione con vitamina D rappresenta il passo obbligato e preliminare di qualsiasi strategia di prevenzione di perdita della massa ossea e di prevenzione delle fratture da osteoporosi, in particolare negli anziani.
La correzione con vitamina D di una concentrazione plasmatica anche leggermente ridotta di 25(OH)D3, e la contemporanea somministrazione di calcio riducono in misura sostanziale il rischio di fratture osteoporotiche vertebrali e dell’anca.
La prevalenza di stati di ipovitaminosi D in anziani ricoverati e nella popolazione di età superiore a 65 anni è generalmente compresa tra il 25% e il 54%, ma può raggiungere il 79%.
La correzione di un deficit moderato di vitamina D si ottiene agevolmente con l’associazione precostituita di supplementi di calcio e vitamina D, che contengono da 400 a 800 unità/compressa.
Tuttavia, nei casi di maggior gravità e in particolare nei pazienti con insufficienza renale, in cui siano clinicamente evidenti le conseguenze della carenza di vitamina D, come l’ipocalcemia associata a valori elevati di PTH, può rendersi necessario somministrare calcitriolo, la forma attiva della vitamina D.
Terapia estrogenica
La terapia ormonale sostitutiva della menopausa è efficace nel controllare la perdita di massa ossea, ma recentemente è stata criticata per effetti non favorevoli a carico dell’apparato circolatorio e per il possibile ruolo favorente dello sviluppo di neoplasie.
Vista la ridotta finestra terapeutica degli estrogeni, sono significativi i risultati incoraggianti ottenuti su massa ossea e incidenza di fratture con il raloxifene, un modulatore selettivo del recettore degli estrogeni derivato dal tamoxifene, che presenta anche un profilo favorevole sull’apparato cardiocircolatorio e sullo sviluppo di neoplasie.
Paratormone
A parte il fluoro che si è rilevato poco utile per ridurre il rischio di fratture, le terapie disponibili tendono tutte ad agire su un solo versante del rimodellamento osseo: rallentare il riassorbimento.
Naturalmente un farmaco che possa invece stimolare la sintesi ossea sarebbe molto prezioso.
Il primo prodotto di questo tipo, il teriparatide, è un analogo del PTH, in grado di stimolare la formazione di tessuto osseo.
Sebbene sia noto che l’iperparatiroidismo è caratterizzato da perdita di massa ossea, per il prevalere della componente di riassorbimento su quella di sintesi ossea, il teriparatide somministrato a dosi fisiologiche e in maniera intermittente favorisce la formazione ossea.
Il futuro: terapia genica e cellule staminali
In ambito ortopedico, è emerso da molto tempo il problema della difficoltà di guarigione di alcuni tipi di fratture, come quelle dello scafoide e quelle secondarie a politraumi ad alto impatto; e anche delle fratture nei pazienti con osteoporosi.
Per questi pazienti è stato ipotizzato il ricorso alla terapia genica e l’uso delle cellule staminali.
Un approccio proposto riguarda l’uso di cellule di derivazione muscolare che oltre a veicolare geni che facilitano la sintesi ossea, possano trasformarsi in un fenotipo osteoblastico che promuova la rigenerazione ossea.
Cellule staminali mesenchimali
Un altro approccio prevede l’uso di cellule staminali mesenchimali. Queste sono cellule staminali adulte che costituiscono diversi tessuti.
Le cellule staminali mesenchimali mantengono la capacità di autoreplicarsi e di dare origine a differenti tipi di cellule mesenchimali.
Sono quindi responsabili, almeno in parte, della capacità rigenerativa dei tessuti mesenchimali, tra cui la cartilagine e l’osso.
Possono essere isolate con relativa facilità dal midollo osseo ed essere coltivate ed espanse in vitro, fornendo così una potenziale terapia per la rigenerazione dell’osso.
Ciò sarà possibile quando si disporrà dei segnali adatti (proteine osteogeniche) a indirizzare e controllare la differenziazione delle cellule staminali nei fenotipi che possono consentire la rigenerazione dell’osso.
Ciò diventa importante al fine di aumentare la predicibilità di riabilitazioni implanto-protesiche in pazienti con atrofia mandibolare e/o mascellare
Conclusioni
L’Odontoiatra attento deve informare il suo paziente sull’importanza della predicibilità dei risultati delle sue riabilitazioni implanto-protesiche e rigenerative, in pazienti con atrofia mandibolare e/o mascellare, ove il fattore ‘tempo’ è una determinante imprescindibile.
Per cui, oltre ad una tecnica ineccepibile, supportata da esami clinici e radiografici, va affiancata la corretta indagine diagnostica per intercettare e correggere eventuali deficit ossei, legati a fattori ormonali, sistemici e/o locali.
Evidenziare carenze ormonali e metaboliche
Intercettare preventivamente carenze ormonali e metaboliche o infiammazioni, è uno dei passi fondamentali, difronte ai quali l’Odontoiatra attento non si può sottrarre.
Una visione sistemica del paziente, candidato alla riabilitazione implanto-protesica o ad una GBR, è un obbligo professionale dell’odontoiatra, che oltre a visitare il paziente dovrà prescrivere gli esami adeguati nell’immediato e nei controlli successivi.
Oggi, ci possiamo avvalere più che in passato di una supplementazione in termini di integrazione alimentare, oltre che ormonale, al fine di favorire i processi rigenerativi di un tessuto rappresentato da collagene prima, e da collagene mineralizzato (osso) poi.
Questàultimo è frutto di un rimodellamento osseo in risposta ai carichi masticatori bio-meccanici, che potranno anche essere immediati.
Tali carichi saranno sopportati dall’osso, se trasformati in carichi tensivi anziché restare compressivi.
Ciò si realizza al meglio, utilizzando impianti inseriti su osso nativo (old bone), con macro-morfologia tensegretiva, capace di sviluppare effetti piezo-elettrici, orientanti gli osteoblasti, ad apporre osso all’intorno dell’area funzionale (interfaccia osso-impianto), neoformata con l’inserimento dell’impianto in un’area, prima quiescente.